“Lo Spoleto Festival alla scoperta di Spregelburd”.

Rafael Spregelburd, drammaturgo argentino, (Buenos Aires, 1970).

L’ampia e nutrita sezione Teatro dello Spoleto Festival 2011 è stata inaugurata dalla pièce teatrale “La Modestia” di Rafael Spregelburd curata dal regista Luca Ronconi (Susa, Tunisia, 1933) a compimento di un progetto e di una realizzazione elaborata nell’ambito del Centro Tetrale Santacristina di Roma.
La presenza di Ronconi nella cinquantaquattresima edizione festivaliera spoletina rappresenta un graditissimo ritorno dopo le lezioni-laboratorio su Henrik Ibsen (1828-1906) del 2008 e lo spettacolo “Un altro Gabbiano” tratto dal dramma cecoviano “Il Gabbiano” (1895) messo in scena nel 2009. La nuova proposta ronconiana per Spoleto si è focalizzata quest’anno sulla brillante figura del giovane attore e drammaturgo argentino Rafael Spregelburd (Buenos Aires, 1970), il quale si erge nel panorama della scena argentina contemporanea come uno dei personaggi di maggior rilievo e di significativa influenza intellettuale. La scelta del regista italiano si è rivelata quanto mai felice: Spregelburd può esser a buon diritto definito un enfant prodige della drammaturgia del ventunesimo secolo. A soli quaranta anni è annoverato come prolifico autore di trenta opere teatrali tradotte e rappresentate in Sud America, Europa e Stati Uniti ed è noto nella veste poliedrica e multiforme di regista, attore, saggista e traduttore di successo. Il lavoro di Ronconi volto alla ‘découverte italiana’ della produzione drammaturgica di Spregelburd si iscrive coerentemente nel solco già da tempo tracciato dal lavoro di ricerca messo in atto dal laboratorio romano del Centro Teatrale Santacristina in sinergia con il Festival dei Due Mondi di Spoleto, il MittelFest di Cividale ed il Piccolo Teatro di Milano. La scaturigine prima del lavoro di Spregelburd è insita in una celebre opera della pittura rinascimentale europea. È, difatti, dalla contemplazione dei ‘Sette peccati capitali’ (1500-1525), un dipinto a olio su tavola del pittore olandese Jeroen Anthroniszoon van Aken, meglio conosciuto come Hieronymus Bosch (1453-1516), che Spregelburd trae l’idea e l’ispirazione per la composizione di sette opere brevi finalizzate alla descrizione ed alla denuncia letteraria del progressivo dissolvimento della morale dei nostri tempi in maniera parallelamente analoga alla fotografia pittorica boschiana raffigurante lo sgretolamento della morale medievale agli albòri del nascente Umanesimo. Nel 1996 questi componimenti teatrali vengono raccolti da Spregelburd nell’“Eptalogia di Hieronymus Bosch” ciascuno con un titolo che designa i sette peccati della nostra epoca con una correlazione interna diretta, prevalentemente dal sapore giocoso e sarcastico, con i sette peccati tradizionali. Nell’originale ed innovativa visione spregelburdiana, dunque, “L’inappetenza” corrisponde alla Lussuria, “La stravaganza” all’Invidia, “La modestia” alla Superbia, “La stupidità” all’Avarizia, “Il panico” all’Accidia, “La paranoia” alla Gola, “La cocciutaggine” all’Ira. Tale raccolta di testi teatrali è fondamentalmente informata da una lettura dell’universo che è caratteristica peculiare della teoria della complessità e si articola in un’ottica di fusione di spazio e di tempo in cui anziché una sostituzione o una metamorfosi si verifica una somma, una sorta di sincretismo etico. Secondo il pensiero di Spregelburd i contemporanei non ereditano i sette peccati tradizionali, configurati già in nuce nel testo biblico, o “gli abiti del male” di più tarda ed aristotelica memoria, ma ne generano ex novo altri sette. In questa Weltanschauung morale è interamente calata e prende vita la rappresentazione teatrale diretta da Ronconi e messa in scena nella raccolta e suggestiva cornice del Teatro Caio Melisso. “La modestia” è a tutti gli effetti uno dei lavori più audaci ed al contempo eleganti dell’Eptalogia spregelburdiana. Spregelburd intende «la modestia come peccato. Il piacere superbo e colpevole, che nasce dal gesto disperato di cercare di essere un po’ meno di ciò che si è, con l’obiettivo segreto, a volte, di pagare in comode rate questo dubbio infinito». Gli attori italiani Francesca Ciocchetti, Maria Paiato, Paolo Pierobon e Fausto Russo Alesi, sapientemente guidati da Luca Ronconi, formano un cast di particolare pregio. La recitazione di questi bravi interpreti è intessuta nel molteplice mutamento di ruolo e di personaggio e nel susseguirsi di due differenti situazioni sceniche evocate dal testo di Spregelburd. Se lo scenario rimane fissamente ancorato in un interno di un appartamento piccolo borghese in cui senza soluzione di continuità e senza particolari cesure di tempo tra una scena e l’altra, i quattro protagonisti, al contrario, impersonano due ruoli tra loro autonomi contestualizzati in due storie che si svolgono in tempi e luoghi diversi. L’Argentina contemporanea con i segni di un recente passato contrassegnato da un funesto regime dittatoriale lascia il posto ad un paese non meglio identificato dell’Est europeo appartenente all’impero sovietico di ieri. L’innovazione di un ‘doppio registro’ ha un sapore rivoluzionario che infrange avventurosamente e fascinosamente i consolidati e canonici dettami delle unità aristoteliche di tempo, di luogo e di azione su cui si basa essenzialmente ancora oggi tutta la drammaturgia coeva europea con lo stesso anelito di libertà provato dal popolo argentino e dalle popolazioni dell’URSS nelle lunghe stagioni illiberali che hanno a lungo contrassegnato la storia di quei paesi in cui è calata la vita dei personaggi della pièce di Spregelburd. Una commedia degli equivoci, quella di Spregelburd, che abbraccia al suo interno due storie e due tempi, due spazi che si amalgamano. “La modestia” di Spregelburd ci rivela un affresco policromatico, una tavolozza dalle mille sfumature in cui interagiscono i temi dell’intolleranza per gli stranieri e della realtà quotidiana di un’umanità dolorosa, che assume il volto di uno scrittore gravemente ammalato, fallito ed inappagato su cui grava il desiderio di riscatto sociale di un’intera famiglia di modeste condizioni e di un medico che non ama la propria professione e sogna di avviare una carriera di agente letterario di successo.

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Stefano Pascucci

“Il festivaliero”.

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