Le sublimi note di Haydn e di Ravel inaugurano i Concerti di Mezzogiorno dello Spoleto Festival.

Nella consueta sede del Teatro Caio Melisso i concerti per archi di Haydn e di Ravel, magistralmente eseguiti dai musicisti del Quartetto Mitja, hanno felicemente aperto il tradizionale spazio musicale dei Concerti di Mezzogiorno che, con cadenza pressochè quotidiana, scandisce la vita artistica delle giornate festivaliere spoletine.

Il quartetto in posa davanti al Teatro Caio Melisso di Spoleto

L’ensamble napoletano Mitja al Festival dei Due Mondi di Spoleto. Giorgiana Strazzullo, primo violino, Sergio Marinoli, secondo violino, Carmine Caniani, viola, Andrea D’Angelo, violoncello Il programma del concerto inaugurale ha previsto nel dettaglio l’esecuzione del Quartetto per archi Opus n.20, n. 5 in Fa minore, Hob.III:35 del compositore austriaco Franz Joseph Haydn (Rohrau, 1732 – Vienna, 1809) ed il Quartetto per archi in Fa maggiore del musicista e pianista francese Joseph-Maurice Ravel (Ciboure, 1875 – Parigi, 1937). Nel vasto ambito del panorama musicale europeo la scelta di questi brani e, soprattutto, di questi autori ha lodevolmente offerto alla platea degli ascoltatori la possibilità di apprezzare l’evoluzione del genere classico del quartetto per archi dal suo creatore, Haydn, alla sua seriore evoluzione influenzata dal magistero musicale di Fauré. Il maestro austriaco, invero, può essere a tutti gli effetti ricordato come il padre di questo genere. Egli affrancò definitivamente questa forma musicale dalla sua originaria funzione di musica d’occasione e di intrattenimento leggero e la portò ad un elevatissimo grado di perfezione di scrittura nel pieno rispetto dell’equilibrio fra le diverse parti di ogni composizione, sia nell’importanza crescente delle voci intermedie, sia nel dialogo paritario fra i quattro strumenti ad arco. Una bilanciata stabilità, quella di Haydn, che ben si percepisce nella variazione di melodie semplici ed orecchiabili e nelle armonie melodiche di andamento indipendente fra loro in andamento fugato. Il quartetto haydniano in questione è parte integrante dell’Opus n.20, una raccolta composta nel 1772 comprendente sei quartetti o divertimenti, altrimenti noti anche come “quartetti del Sole” o “Sonnenquartette”. In questi componimenti, tutti a loro volta suddivisi in quattro movimenti – I Allegro o Moderato, II Minuetto o Adagio, III Tempo Lento o Minuetto, IV Finale (Presto o Allegro) – Haydn colloca talvolta una Fuga nel Finale, come nel nostro caso, ad esempio, in cui una Fuga a 2 soggetti conclude la sequenza. Il ben più tardo Quartetto in Fa maggiore venne ultimato da Ravel nel 1903 con una dedica al suo “caro maestro” Gabriel Urbain Fauré (Pamiers, 1845 – Parigi, 1924) in una fase giovanile della sua carriera di musicista. Esso è suddiviso nei canonici quattro movimenti – I Allegro moderato, Fa maggiore; II Assez Vif, très rytmé, La minore; III Très lent, Sol bemolle maggiore; IV Vif et agité, Fa maggiore – e risente degli influssi impressionistici del tempo e della musica del compositore coevo Claude-Achille Debussy (Saint-Germain-en-Laye, 1862 – Parigi, 1918). Il quartetto di Ravel denota soprattutto punti di contatto con il Quartetto debussiano Opus n.10, di dieci anni precedente, nelle identiche indicazioni di movimento, nella posizione al secondo posto dello Scherzo e nell’uso di alcune tecniche esecutive come il pizzicato in 2 e 6. Significativa di una vicinanza tra i due compositori che andò oltre le similitudini stilistiche, fu l’attestazione di stima che lo stesso Debussy fece al giovane Ravel, intervenendo a suo favore in occasione della richiesta da parte del maestro Faurè di modificare il finale del Quartetto: «Nel nome degli dèi della musica e nel mio nome, non toccate una sola nota di quelle che avete scritto nel vostro Quartetto». Il Quartetto raveliano, tuttavia, nella sua solarità positiva e nel suo carattere decisamente più ‘diurno’ si discosta sensibilmente dalle nuages, dalle pluies e dai toni notturni drammatici, sofferentemente fin de siècle, propri dell’opera di Debussy. Un’ulteriore peculiarità del componimento di Ravel – come ha acutamente osservato il musicologo Stefano Bianchi – è costituita dallo stesso disegno melodico che circola da un movimento all’altro, in ossequio agli ideali di ciclicità del compositore ed organista francese César Franck (Liegi, 1822 – Parigi, 1890): il finale riprende due motivi dei movimenti precedenti e marcatamente il secondo tema del primo tempo mentre la coda, a sua volta, ripropone l’inciso d’apertura. Encomiabile e degna di plauso è stata l’interpretazione dell’ensamble napoletano Mitja, nelle persone dei musicisti Giorgiana Strazzullo, primo violino, Sergio Marinoli, secondo violino, Carmine Caniani, viola ed Andrea D’Angelo, violoncello, a cui va riconosciuto il merito di aver saputo restituire fedelmente gli originari intenti compositivi degli autori sulla base di una solida e pluriennale esperienza che si esplica nella padronanza di un ampio repertorio che annovera, tra gli altri, anche i quartetti per archi di Dimitri Shostakovich (San Pietroburgo, 1906 – Mosca, 1975) – a cui si ispira direttamente nell’imposizione del suo nome che corrisponde al diminutivo del musicista russo – ed i celebri quartetti di Wolfgang Amadeus Mozart (Salisburgo, 1756 – Vienna, 1791). Stefano Pascucci

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